Spaghetti Blog



Lo faccio all'italiana

domenica 5 settembre 2010

Meglio il cane o il gatto?


Vi riporto un articolo di Focus che interesserà molte persone, i commenti sono miei:

Da sempre il mondo si divide tre cinofili e “gattofili”, una battaglia che si combatte a suon di “il cane capisce tutto” contro “il gatto è più intelligente perché se la cava anche da solo”. Ma che cosa dice la scienza? Da tempo gli esperti si interrogano sulle reali capacità dell’uno e dell’altro.
Il New Scientist, settimanale scientifico inglese, ha provato a tirare le somme confrontando vari studi. Ecco i risultati.

LEGAMI
A chi, proprietario di cane, non è capitato di vedere il proprio cagnolino impazzire di gioia al suo rientro? Secondo gli esperti, il cane è come un bambino: inquieto quando la mamma non c’è e felice quando torna. E i gatti? Opportunisti, affezionati alla casa, senza sentimenti, su di loro se ne sono dette di tutti i colori… E dimostrarlo, per gli scienziati, è difficile: i mici lontani dal loro territorio si stressano troppo per poterne studiare il comportamento in laboratorio.
Vincitore: cane
C’è da dire però che se il cane eccelle nella virtù della fedeltà molto spesso pecca in quella della dignità, della quale i gatti sono campioni.

CERVELLO
Quando si parla di intelligenza le dimensioni non sono tutto: conta anche la massa corporea. Se il cervello dei cani (in media 64 grammi) è più grande di quello dei gatti (25 g), è vero anche che i cani sono più grandi (alcuni neanche tanto, ma forse in quel caso chiamarli “cani” è un eufemismo). Inoltre la capacità di processare le informazioni dipende dal numero di neuroni nella corteccia cerebrale. E in questo i gatti vincono: hanno 300 milioni di neuroni contro i 160 milioni dei cani.
Vincitore: gatto

POPOLARITA’
Secondo alcune stime, nei dieci Paesi a maggior presenza di gatti, i piccoli felini sono circa 204 milioni, contro i 173 milioni di cani presenti nei dieci Paesi dove maggiore è la presenza dei proprietari di cani.
Vincitore: gatto
Raramente il numero corrisponde alla qualità, per onestà va ammesso che è molto più facile tenere un gatto che un cane! Ma forse questo rientra nel pregio della famigerata indipendenza dei gatti..

COMPRENSIONE
Il cane più intelligente del pianeta si chiama Rico, è un Border Collie Tedesco in grado di associare 200 parole ad altrettanti oggetti. Ma anche gli altri non se la passano male: sono in grado di capire 165 tra gesti, parole e segni. Per gli esperti, i cani, a differenza dei gatti, riescono a “capirci” perché più motivati e interessati ad assecondarci.
Insomma ci comprendono di più perché sono molto più dipendenti da noi.
Vincitore: cane
Non dimentichiamoci del fatto che tendiamo spesso a scambiare per “intelligenza” la spiccata somiglianza dei comportamenti canini coi nostri (e a volte non i migliori). Insomma piuttosto che definire i cani più intelligenti sarebbe meglio considerarli soltanto più “umani”.

PROBLEM SOLVING
Risolvere problemi è un compito che, a quanto risulta da alcuni esperimenti, non riesce benissimo a nessuno dei due. Un gatto di fronte a due fili, uno con un pezzo di cibo in fondo, l’altro no, non è in grado di tirare a se consapevolmente quello giusto. E nemmeno i cani ci riescono senza le indicazioni del proprietario. Tuttavia, la vittoria se l’aggiudicano i cani perché possono fare molto grazie alla collaborazione con gli uomini.
Vincitore: cane

VOCALIZZAZIONI
Dopo una lunga convivenza con noi, cani e gatti per farsi capire hanno modificato il loro repertorio espressivo. I cani riescono a modulare il latrato in base al messaggio: minaccia , paura, felicità, in un modo che noi riusciamo a capire. Ma i gatti sarebbero più convincenti. Karen McComb, studiosa del linguaggio animale all’università del Sussex (Uk), ha scoperto che i loro miagolii hanno una frequenza simile al pianto dei bebè. Perciò più spesso riescono a ottenere quello che vogliono.
Vincitore: gatto
..non c’è niente da fare, è più paraculo!

APPRENDIMENTO
I cani imparano in modo simile ai bambini: attraverso gli insegnamenti impliciti, il gioco e l’incoraggiamento. E inoltre grazie alle ricompense, che funzionano anche per i gatti. Ma è difficile riuscire ad addestrare un gatto e per ora pare che nessuno ci abbia mai provato davvero.
(In realtà qualche regolina gli si può insegnare)
Vincitore: cane

SENSI
Il cane ha un naso molto sensibile, poiché è formato da moltisimi recettori dell’olfatto: da 300 milioni (il cane di Sant’umberto) a 125 milioni (i bassotti); noi ne possediamo 5 milioni. I gatti tuttavia sono superiori nella vista e nell’udito. Riescono a vedere con poca luce 6 volte più di noi e possono udire suoni tra i 45 e i 64000 hertz, i cani tra i 67 e i 45000 hertz e l’uomo tra i 15 e i 15000 hertz.
Vincitore: gatto

DOMESTICAZIONE
Che il cane sia il migliore amico dell’uomo è assodato, ma quando questa amicizia ha avuto origine?
Robert Wayne, biologo dell’università della California di Los Angeles, comparando Dna di cani e lupi ha ipotizzato 50000 anni fa. Altri studi la collocano invece in tempi più recenti: 16000 anni fa. Anche per i gatti la questione è poco chiara. Dai ritrovamenti in tombe egizie sappiamo che erano popolari tra gli Egizi già nel 3000 a.C.
Ma forse la domesticazione va retrodatata al momento in cui i nostri antenati divennero contadini e si servirono dei gatti per proteggere i granai dai topi. I resti più antichi ritrovati finora apparterrebbero a un gattino vissuto 9500 anni fa, trovato in una tomba a Cipro.
Vincitore: cane

ECO-IMPRONTA
Un cane di media taglia ha un impronta ecologica di 0,84 ettari all’anno. L’impronta del gatto invece è di 0,15 ettari.
Vincitore: gatto
Recenti stime hanno calcolato che alcuni cani arrivano ad inquinare come un Suv, ma questo accade solo con cani di razza e di sicuro è direttamente proporzionale all’idiozia dei padroni.

UTILITA’
Cacciatori, pastori, soccorritori, guide per ciechi: i cani fanno molte cose per noi. Ma soprattutto cani e gatti sono “utili” per chi ci vive insieme. Accarezzarli è un ottimo antistress (il gatto è molto più piacevole da accarezzare..) e la loro presenza, per gli esperti, fa bene alla salute. Ma poiché il cane costringe il proprietario a passeggiate quotidiane imponendo l’esercizio fisico anche ai più pigri (insomma sono utili ai culoni?), questa categoria se l’aggiudica il cane. E i cani vincono, è proprio il caso di dirlo, “per un pelo”.
Vincitore: cane

TOTALE: CANI 6 – GATTI 5



http://www.focus.it/Animali/CANI_GATTI__C/

martedì 30 marzo 2010

Vivere di niente


A Torino, tra una panchina e un marciapiede della stazione ferroviaria d'Ivrea, un clochard di 60 anni ha trovato un portafogli con 1.100 euro in contanti e lo ha consegnato agli agenti del commissariato. Giuseppe V., nonostante le difficili condizioni in cui vive, ha preferito essere onesto piuttosto che lasciarsi prendere dalla tentazione di intascare quel denaro.
Dopo aver trovato il portafogli , il senza tetto si è recato al commissariato di Ivrea dove ha chiesto di parlare con gli agenti. A loro il clochard ha consegnato il portafogli e poi ha fatto ritorno alla sua panchina. Gli agenti, dopo averlo rifocillato, gli hanno promesso che avrebbero rintracciato il proprietario del portafogli.
In breve i poliziotti hanno effettivamente trovato l'uomo che ha deciso di premiare il clochard per la grande onestà dimostrata
.
Fonte: http://magazine.excite.it/news/41307/Torino-un-clochard-trova-e-restituisce-portafogli-con-1100-euro



Ho avuto tempo di elaborare questa notizia, ne è scaturita una breve riflessione:

Vivere di niente porta ai gradi estremi della civiltà; può renderti il più basso essere umano, capace delle peggiori azioni pur di ottenere una briciola; o portarti alla più alta concezione del vivere sociale, simile per certi versi alla discutibile ma nobile scelta dell'eremita.

Per semplicità potremmo porre da una parte i "poveri per disgrazia" e dall'altra i "poveri per scelta"; ma troppe volte ammiriamo la nobiltà d'animo di persone finite sotto i ponti a causa delle peggiori sventure; e altrettante troviamo i cosiddetti "punk" (-abbestia e non) sfoggiare i loro piercing, tatuaggi, giacchetti di pelle con le frange, capelli tinti e unghie smaltate, all'interno dei pronto-soccorso ad occupare, per dormire, le sedie destinate ai malati in attesa od ai loro parenti. Questo per dire che scelte di vita così estreme non sempre sono mosse da un'etica profonda, radicale e civile; e che le cause di forza maggiore che porterebbero molti alla misantropia o alla bestialità invece suscitano in alcuni uomini l'opposto effetto, quello di una civiltà encomiabile, estrema.

Nel mezzo poi ci siamo noi, così attaccati alla sicurezza delle nostre vite borghesi, così comodi nonostante le nostre continue lamentele, che quel portafoglio contenente millecento euro lo avremmo consegnato alle autorità, col cazzo..

domenica 10 gennaio 2010

Unità Shikishima, Unità Yamato, Unità Asahi e Unità Yamazakura

(Forza d'Attacco Speciale Kamikaze)

Se qualcuno chiede dello spirito giapponese Yamato di Shikishima [1], è nei fiori di Yamazakura [2] che sono fragranti nell'Asahi [3]. (Motoori Norinaga)
1. Una città giapponese;
2. Bocciolio di ciliegio di montagna;
3. Sole sorgente.



http://www.youtube.com/watch?v=A4MQ8FuMhxM

Sköll - Unità di attacco Shikishima

Sto guardando rapito il mare dai cinque colori
La nostra formazione salì di migliaia di metri
Dal respiratore bianco fluì l’ossigeno che ci ristora
Perché sia il nostro ultimo cibo, domani non vedrò domani, domani!
Tu danzerai indossando il vestito più acceso!
Dormi e verrò a spiegarti la strada che ho preso!
E piangerai ora che il tuo volto è indifeso, ma danzerai per me!
Spingo i motori al massimo, è la velocità suprema
I bombardieri che sono nemici, sono in volo come sciame d’insetti,
Ma io ho soltanto un obbiettivo: il lift della portaerei
Ormai è chiaro che il coraggio altro non è che guardare, guardare!
Tu danzerai indossando il vestito più acceso!
Dormi e verrò a spiegarti la strada che ho preso!
E piangerai ora che il tuo volto è indifeso, ma danzerai per me!
Tu danzerai indossando il vestito più acceso!
Dormi e verrò a spiegarti la strada che ho preso!
E piangerai ora che il tuo volto è indifeso, ma danzerai per me!


sabato 2 gennaio 2010

Cadavere Spaziale

http://www.youtube.com/watch?v=neIRmGygMTE

Qualche giorno fa, mentre ascoltavo RBN, hanno mandato questo brano che mi ha inspiegabilmente entusiasmato...

Non conoscevo l'autore Riz Samaritano ma, dopo una passeggiata informativa nel web, ho scoperto che questo uomo di evidente stile era il grande antesignano del cosiddetto "demenziale" italiano: un genere che, a discapito del nome, vanta gruppi d'elite sia nel campo musicale che nell'originalità (ricca di stile e d'intelligenza) come i grandiosi Elio E Le Strie Tese che non a caso, piacevole scoperta, hanno fatto negli anni 90 un tributo al "Cadavere Spaziale" di Riz.


http://www.youtube.com/watch?v=cJFwvIAFdgQ

venerdì 25 dicembre 2009

Il tempo di Natale

Eravamo solo dei fanciulli delle Ardenne.
La neve chiudeva l'orizzonte, incappucciava i colmi dei tetti e aderiva a strati sempre più spessi sotto i nostri zoccoli.
Eravamo sicuri di aver visto S. Giuseppe voltare l'angolo di Rue du Molin.
A mezzannotte, la salita della chiesa era difficile da farsi.
Ci era stato permesso di tenere in mano i nostri zoccoli per l'ultima ripida scorciatoia.
Poi, eravamo passati bruscamente dalla notte, con le gugliue ghiacciate, all'odore delle navate splendenti.
Ci girava un po' la testa. L'incenso ci ubriacava. il Decano stesso era pallido.
Ma il coro faceva un chiasso da allontanare i cinghiali a dieci chilometri dai nostri grandi e folti boschi.
Il tiramantice dell'organo pedalava come se temesse di arrivare in ritardo.
Il maestro trascinava il coro in un vortice di voci.
Al momento del "E' mezzanotte Cristiani", l'emozione e il clamore erano tali che noi ci eravamo arrampicati sulla paglia delle segiole in attesa che, improvvisamente, gli angeli scendessero volteggiando sopra il coro.
Ma gli angeli avevano continuato, saggiamente, a restare in mezzo alle candele, con le loro grandi ali immobili. Ci eravamo accostati a loro, con una monetina da due soldi nei guantoni di lana.
Ci eravamo messi in ginocchio sul marmo. Il bue bruno e l'asino grigio si trovavano vicini vicini a noi.
E noi bruciavamo dal desiderio di toccarli, per vedere se il loro pelo fremesse come alla fontana.
Ma i fanciulli amano i fanciulli ancor più delle bestie. Gesù era steso sulla paglia.
I nostri cuori si intenerivano al pensiero che egli doveva avere tanto freddo.
Nessuno gli aveva dato calzettoni come a noi. Nè zoccoli. Nè sciarpa per riparare il naso. Nè guanti di lana verde per coprire le screpolature.
Guardavamo un po' stupiti papà San Giuseppe che non faceva nulla per distinguersi e la Mamma azzurra e bianca, tanto immobile e così bella.... Noi conoscevamo solo mamme belle con occhi puri in cui si poteva vedere tutto: Avevamo tanto guardato quegli occhi... ma quelli della Mamma di Gesù Bambino ci incantavano completamente, come se il cielo facesse vedere ai fanciulli più di quel che vedono gli uomini.
Non dicevamo nulla ridiscendendo il pendio. Quando i bambini non dicono nulla, ciò significa che essi hanno tante cose da dire....
Il cioccolato fumante, la tavola grande coperta di dolci fatti in casa, non sono mai riusciti, al ritorno, a strapparci dagli invisibili conversari che si erano stretti tra i figli di mamme umane e il figlioletto della Mamma del Cielo. Sopra il piano, un altro presepio era stato allestito, ove noi potevamo, ritti sullo sgabello, prendere in mano il bue e l'asino.
Ogni sera si accendevano tante candeline rosa e azzurre. Ognuno aveva la sua, sulla quale, alla fine della preghiera, dava un gran soffio. Dietro, nell'ombra, in ginoccchio accanto a una seggiola, la mamma dirigeva i nostri slanci religiosi, ci guidava.
Quando tutto era finito, quando ci volgevamo verso di lei per ottenere il permesso di spegnere le nostre graziose luminarie, vedevamo nei suoi occhi brillare tanto fervore....
Il Paradiso scende nel cuore dei fanciulli quando è la mamma a portarlo..


MILITIA - Leon Degrelle

venerdì 27 novembre 2009

Tutti figli di un dio iperboreo







Da quando Julius Evola è apparso in Italia, le bussole dei nostri cuori puntano decisamente verso Nord. Il Nord iperboreo, da dove scesero gli Indiani e i Persiani, i Greci e i Latini, e i loro fratelli più giovani, quei popoli germanici che forgiarono l’anima e la colonna vertebrale delle nazioni europee ed europoidi, da Vancouver a Vladivostock, passando ovviamente per l’Italia.
All’inizio dell’Iliade è posta una scena gustosa, molto cinematografica. Achille adirato sta per avventarsi contro Agamennone, ma la Dea lo ferma. Tirandolo per i capelli. I pochi versi con i quali Omero scolpisce la scena assumono il loro significato sole se ci raffiguriamo Achille ad immagine e somiglianza dei giovani, dai capelli lunghi e lisci come i cantanti del rock-metal, che ancora oggi si muovono tra Uppsala, Copenaghen e Dortmund, dove sgorga la fonte vitale di tutto il nostro essere. La consapevolezza di quella fonte, persa tra le nebbie della preistoria, rappresenta una delle scoperte più preziose della nostra epoca.
Gli Iperborei dicevamo. Un mito enigmatico, a cui i nostri antichi accennarono con poche parole, un mito sepolto dal cristianesimo che per diciannove secoli ci ha abituato a voltare la faccia verso la sabbia, eppure fissato con versi monumentali da Virgilio che celebrando l’apoteosi di Cesare gli disse: “Come un dio verrai, dall’immenso mare/ e obbedisca a te, l’ultima Thule!”.
Nel passaggio di secolo, Nietzsche ancora una volta pronunciò parole profetiche, ed enigmatiche: “Guardiamoci in faccia – scrisse – noi siamo Iperborei. Al di là del ghiaccio, al di là della morte, la nostra vita, la nostra gioia”.
Gli Iperborei erano il mistico popolo che abitava l’estremo Settentrione del mondo,dove il dio Kronos, re dell’età dell’oro, dorme in uno stato di sonno profondo. Dal paese degli Iperborei secondo i Greci provenivano i mistici sapienti, come Abaris e lo stesso Pitagora; e al paese degli Iperborei annualmente faceva ritorno Apollo, il dio che più di ogni altro esprime l’anima e il volto dei Greci antichi. A far riemergere dal sonno profondo dell’inconscio il regno di Thule, ci provarono nel Novecento diversi maestri di pensiero, seguendo vie diverse. Il bramano Tilak seguì la via dell’astrologia e leggendo nelle stelle dimostrò come gli arcaici indiani che avevano scritto i Veda guardavano il firmamento da un punto di vista iper-boreale. Altri seguirono la via della paleoantropologia, altri risalirono il corso delle lingue per delimitare quella Ur-Heimat (dimora primordiale) dove un Ur-Volk parlava una Ur-Sphrache. Risalendo a ritroso la catena dei secoli, per riscoprire un mondo di primordiale purezza, Evola scelse la via del mito. Comparando le mitologie di tutto l’arco boreale (un arco più ampio di quello indoeuropeo dacché spazia dai Toltechi ai Cinesi), egli ridiede volto alla terra dell’età dell’oro, dove traeva origine il biondo Vishnu e dove ritornava il dio Apollo Le pagine in cui Evola porta luce in questo mondo sepolto sfuggono ai confini della saggistica e della mitologia comparata per volare verso i domini della poesia. Tilak, Evola, Wirth – sia pur con tutti i loro limiti – riaprirono in anni tempestosi le porte del regno di Thule. Poi gli errori che furono commessi generarono tragedie. E nel sangue delle tragedie si perdette il senso di molte conquiste del pensiero.
Quando tutto fu consumato si disse che gli
Indoeuropei (termine un po’ sciocco, come sciocco sarebbe il definire gli Italiani come siculo-lombardi) avevano origine dalle steppe. Sì magari da un kolchoz slavo! Quando ogni rigore intellettuale fu perso, si disse che Ulisse era praticamente africano. Proprio Ulisse, che le saghe scandinave conoscono sotto il nome di Ull, l’arciere. Si sono dette tante cose. E molte di quelle si abbatteranno al muro del tempo. Noi oggi dobbiamo tornare a dire la verità, inseguendola sulle strade della paleoantropologia, della linguistica, del mito. Per ricominciare è prezioso l’opuscolo della Fondazione Evola intitolato Il mistero iperboreo, in cui sono raccolti gli scritti più belli di Evola sulla origine nordica del nostro mondo, uniti ad una presentazione di Alberto Lombardo che inquadra il contesto storico delle ricerche di Evola, e una conclusione di Mario Giannitrapani che aggiorna il lettore non specialista sulle ultime acquisizioni della paleoantropologia. L’Europa – a cui interessati esperti dell’O.N.U. hanno diagnosticato la morte demografica per la fine del secolo – si trova di fronte a una sfida. Alla sfida seguirà una risposta.
Alle emergenze pratiche, quotidiane che lo snaturamento dell’Europa pone, la volontà politica dei popoli del continente ha già dato risposta con verdetti elettorali inequivocabili in Austria come in Italia, nei paesi latini, come nelle nazioni nordico-germaniche. A livello spirituale la risposta sarà più lenta, ma più fruttuosa: al dilagare del fanatismo delle
religioni abramitiche, l’anima dell’Europa risponde suscitando un rinnovato interesse per la spiritualità indoeuropea. Appellandoci all’ottimismo della volontà, ci sembra di scorgere già oggi segnali incoraggianti di questa risposta.
Nella riscoperta della nostra spiritualità il tema della origine nordica occupa un posto fondamentale. Gli europei di nuova generazione hanno il diritto di sapere che non sono nati dal fango come narra un mito mediorientale, ma sono tutti “figli di un dio iperboreo”, con tutte le conseguenze che ne derivano. Quelle conseguenze che probabilmente Lombardo ha voluto suggerire al lettore ponendo in terza pagina una bella citazione di
Adriano Romualdi: “La scienza delle radici indoeuropee non ha un mero valore storico e antiquario. È la scienza di ciò che ci è affine e ciò che è estraneo, ciò che va accolto e ciò che va respinto. È il punto in cui si schiude l’orizzonte di una tradizione europea, una tradizione in cui ha posto anche una nuova prospettiva religiosa europea di radice nordica”. Queste parole dette da uno che è morto all’età di chi è caro agli dei colgono una essenza: la spiritualità indoeuropea non è roba da museo. Essa attende di essere espressa in parole nuove, adatte ai nostri giorni, parole che i nostri fratelli più giovani, i nostri figli di domani possano pronunciare mentre guidano automobili avveniristiche, mentre comunicano con i satelliti, mentre operano con il laser e scoprono nuove fonti di energia. Di due cose l’Europa ha bisogno per superare la crisi di passaggio dell’anno duemila: di cieli sempre più ampi per le sue scienze e la sua tecnologia, di una legge morale radicata nei suoi principi più arcaici. In modo che il futuro e il principio si chiudano in cerchio.
* * *
Julius Evola, Il “mistero iperboreo”. Scritti sugli Indoeuropei 1934-1970, quaderno n° 37 della Fondazione Julius Evola, a cura di Alberto Lombardo, con postfazione di Mario Giannitrapani, pp.96
Tratto da L’Officina dell’agosto 2002.




martedì 20 ottobre 2009

Trattato del Ribelle


Il Ribelle è deciso ad opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata.....

Se avere ancora un propio destino od essere considerato un numero: é questa la decisione che sta di fronte a tutti, ma che ognuno deve prendere da solo......

Il Ribelle, dunque, deve possedere due qualità. Non si lascia imporre la legge da nessuna forma di potere superiore nè con i mezzi della propaganda né con la forza. Il Ribelle inoltre é molto determinato a difendersi non soltanto usando tecniche ed idee del suo tempo, ma anche mantenendo vivo il contatto con quei poteri che, superiori alle forze temporali, non si esauriscono mai in puro movimento...

Nell'epoca del nichilismo, la nostra epoca, si é diffusa l'illusione ottica per cui il movimento sembra acquistare importanza a spese dell'immobilità. In realtà tutto il potere tecnico dispiegato oggi, altro non é che un effimero bagliore dei tesori dell'essere. L'uomo che riesce a penetrare nelle segrete dell'essere, anche solo per un fuggevole istante, acquisterà sicurezza: l'ordine temporale non soltanto perderà il suo aspetto minaccioso, ma gli apparirà dotato di senso.....

Il motto del Ribelle é 'hic et nunc', essendo il Ribelle uomo d'azione, azione libera ed indipendente: Abbiamo constatato che questa tipologia può comprendere solo una frazione delle masse, e tuttavia é qui che si forma la piccola elìte capace di resistere all'automatismo e di far fallire l'esercizio della forza bruta. E' l'antica libertà in veste moderna....

L'uomo del progresso, del movimento e delle manifestazioni storiche deve fare i conti con la propia essenza immodificabile, sovratemporale, che s'incarna e si trasforma nel corso dell storia. Sta in questo il piacere degli spiriti forti, fra i quali annoveriamo anche il Ribelle. In questo processo l'immagine riflessa si ricorda nel modello originario da cui irradia e in cui é inviolabile. In altri termini: l'essere ereditato ricorda il fondamento di ogni eredità......

Una delle grandi speranze é che vi siano rappresentanti, dei mediatori che aprano l'accesso alle fonti. Basta che in un solo punto si riesca realmente a toccare l'essere, perchè ciò abbia immense ripercussioni. Su questi eventi si fonda la storia, o addirittura la possibilità di datare il tempo: per l'uomo significa essere investito di una forza creatrice originaria, che assume contorni visibili nella dimensione temporale....

E. Junger

lunedì 21 settembre 2009

Afghanistan, tra lutti e diritto internazionale

I morti sono morti, le ardite anime dei nostri parà sono tornate a librare nei cieli; rimane solo un forte sentimento di amarezza in chi, nel paese, considera tutti i militari come un po’ come dei figli o dei fratelli e poi, soprattutto, rimane il pianto sommesso o straziato dei parenti delle vittime.


Il vociare su ritiri o non ritiri delle truppe, sul fatto che siano o meno in missione di pace o di guerra, sull’esporre o meno il tricolore dalle finestre in segno poi non si sa di che (sono soldati italiani ma morti in una guerra di coalizione e per quelli che di certo non sono gli interessi della Repubblica Italiana, né della nazione.. a meno che non si consideri un interesse il servilismo nei confronti degli imperialisti d’oltreoceano, o il rischio che come risposta al nostro intervento i “terroristi” attacchino anche l’Italia), questo vociare, insomma, non è altro che fiato al vento.. lo stesso vento che i nostri paracadutisti fendono come lame ad ogni lancio.


Il problema, come tutti i problemi, va analizzato all’origine, che in questo caso non è la vera e propria radice altrimenti dovremmo tirare in ballo le torri gemelle ed i vari sospetti di complotto.


E’ molto facile condannare l’intervento degli AmeriCani in Iraq: un’illegittima invasione della sovranità territoriale di uno stato nazionale non belligerante basato su tesi rivelatesi in seguito infondate (il possesso di armi di distruzioni di massa e fantasiosi collegamenti tra Saddam e Al Qaeda).


Altro discorso si può fare sull’attacco in Afghanistan, moralmente giustificato dal concetto di legittima difesa anch’esso previsto dal diritto internazionale. E’ il caso per questo di citare uno dei maggiori esperti nell’argomento: Benedetto Conforti. Il giurista tra le altre cose è membro della Commissione europea dei diritti umani e giudice della CEDU (Corte Europea dei diritti dell'uomo); presidente della Società italiana di diritto internazionale e dell'Institut de Droit International; membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei e del Curatorium dell'Accademie de Droit international dell'Aja. Nella settima edizione del suo testo “Diritto Internazionale” sostiene:


[…]Per quanto riguarda la dottrina Bush, rozza espressione di forza, essa è stata condannata o criticata da vari Stati ed anche dal Segretario generale delle Nazioni Unite innanzi all’Assemblea Generale dell’ONU (seduta del 23/09/2003, UN Gen. Ass, Off. Records, 58th sess. Plenary Meet)

In effetti la tesi della legittima difesa, anche nel caso di attacchi terroristici su vasta scala, come l’attacco alle torri del World Trade Center, lascia assai perplessi, trattandosi comunque di crimini internazionali individuali, che come tali andrebbero puniti, senza produrre altre vittime innocenti. E’ sintomatico del resto che, in due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, la ris. n.1368 del 12/09/2001 e la ris. n.1373 del 28/09/2001, adottate dopo l’attacco, è proprio la lotta al crimine internazionale che viene in rilievo: in esse, da un lato, si insiste sulla necessità che gli Stati collaborino per assicurare alla giustizia gli autori dell’attacco e i loro sostenitori e finanziatori, dall’altro si decide che gli Stati prendano una serie di misure non implicanti l’uso della forza, tra cui la prevenzione e la soppressione di ogni finanziamento del terrorismo, il congelamento dei fondi direttamente o indirettamente destinati a detto finanziamento, il divieto di fornitura di armi ai terroristi, l’adozione di severe norme penali ai terroristi e simili. Non c’è invece, in queste risoluzioni, alcuna autorizzazione all’uso della forza. E’ bensì vero che nei “considerando” di entrambe le risoluzioni si riconosce il diritto naturale di legittima difesa individuale e collettiva “in conformità alla Carta delle Nazioni Unite”, ma nessuno potrebbe seriamente fondare la legittimità della guerra su un “considerando”, peraltro assai equivoco, delle due risoluzioni.

mercoledì 26 agosto 2009

Socializzazione

Da http://movimentodiazionepopolare.blogspot.com/
Per comprendere a fondo l’enorme portata rivoluzionaria della Socializzazione, è necessario tornare un po’ indietro nel tempo: alla cosiddetta “Rivoluzione industriale”. Per Rivoluzione industriale si intende un processo di evoluzione economica che da un sistema agricolo-artigianale-commerciale porta ad un sistema industriale “moderno”, il quale è caratterizzato dall’uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall’utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i combustibili fossili). Tale processo avviene gradualmente tra metà ‘700 e metà ‘800. In sostanza, però, cosa accade? La nascente impresa capitalistica dunque, dopo aver soppiantato la tradizionale impresa artigianale, grazie all’ampio impiego di macchinari sempre più numerosi ed efficienti, aveva sovvertito di fatto il rapporto tra il lavoro umano e gli strumenti di lavoro veri e propri. Nell’oramai antica impresa artigianale era la qualità dell’opera dell’uomo a determinare la qualità del prodotto e della conseguente retribuzione; nella nuova impresa capitalista, invece, era la macchina a conquistare il primato nei confronti del meccanismo produzione/profitto, riducendo di fatto l’uomo a suo accessorio. Inoltre nacque al tempo la famosa “legge bronzea dei salari”: essendo l’opera dell’uomo meno richiesta e, quindi, deprezzata, il deprezzamento doveva colpire necessariamente anche i salari (poi “salari di sussistenza”, ossia il minimo per la sopravvivenza stessa dell’operaio). L’imprenditore, a sua volta, smetteva di essere il “primo” lavoratore dell’impresa, comunque in rapporto umano con gli operai, e diveniva ora azionista: ossia colui che fornisce capitale. Ma cosa accade nella Socializzazione di una impresa? Alla gestione della impresa SOCIALIZZATA prende parte DIRETTA IL LAVORO. A imperare non è più quindi l’impalpabile e apolide tirannia del capitale, unico e anonimo beneficiario del profitto senza limiti e senza regole, bensì la co-gestione dell’impresa da parte di proprietari/capi (ma presenti e attivi) e operai/lavoratori (finalmente protagonisti). Ciò vuol dire: Consiglio di Gestione composto per la metà dai rappresentanti degli operai, eletti da quest’ultimi tramite votazione segreta. Imprenditore e lavoratori diventano quindi una comunità che opera di concerto per il bene dell’impresa stessa che essi rappresentano. Sì, proprio perché socializzare vuol dire anzitutto costituire una società; al contrario le società capitalistiche per azioni – contro ciò che comunemente si crede – non sono affatto loro stesse società, ma proprietarie di società, solamente fornitrici di capitali, e quindi avulse dai reali processi di lavoro e produzione.Nella Socializzazione, la vera e propria rivoluzione sta nella ripartizione degli Utili e nella destinazione delle Eccedenze (un buon marxista parlerebbe di “plusvalore”).Gli utili dell'impresa socializzata vengono ripartiti tra i lavoratori, operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi, in rapporto all'entità delle remunerazioni percepite nel corso dell'anno. Tale ripartizione non può superare comunque il 30 per cento del complesso delle retribuzioni nette corrisposte ai lavoratori nel corso dell'esercizio. Le eccedenze sono destinate ad una cassa di compensazione amministrata dallo Stato e destinata a scopi di natura sociale e produttiva.

giovedì 9 luglio 2009

Ancora Niba!!

 

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